Art Hotel Principe
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Abbiamo ricercato e selezionato accuratamente quattro appassionati artisti locali, che, innamorati del proprio territorio,
hanno deciso di riprodurlo con stili diversi, ma con il comune intento di preservarlo, proteggerlo e celebrarlo.

 

La particolarità dei nostri spazi è data dalla loro stessa identità; dalla diversità e unicità di ogni stanza,
caratterizzata dalle opere che la abitano e in cui producono un senso movimento, che, seppur modesto, promuove la conoscenza ed l’apprezzamento per l’Arte

Giulio Belluz

Nato nell'estate del 1943 ad Azzano Decimo, pare debba il nome ad uno zio morto in guerra in quegli anni.
Il primo dipinto che vede è nella chiesa San Pietro Apostolo di Azzano Decimo, dove un suo antenato, Andrea del Bel, fu a capo della confraternita di Zuiano (dove il clan ebbe origine) verso la fine del Settecento, anche se lui stesso altre volte dichiara che l'approccio alla pittura fu del tutto casuale, legato in qualche modo ai giochi col fratello Riccardo, il quale abbandonò presto la "smania" del disegno su pressione della famiglia.
Vissuta un'intera vita in Azzano, risiede ora a Pasiano di Pordenone.

 

info@giuliobelluz.com

Giorgio Celiberti

Nasce a Udine nel 1929. Nel 1948 studia con Emilio Vedova e appena diciannovenne partecipa alla Biennale di Venezia del 1948. Nei primi anni cinquanta si trasferisce a Parigi poi a Bruxelles grazie ad una borsa di studio del Ministero italiano della Pubblica Istruzione per poi trasferirsi a Londra nel 1957 per un anno per poi ritornare in patria.
Partecipa a molte collettive, tra cui si ricordano la partecipazione alla Esposizione internazionale d'arte di Venezia del 1948 con l'opera Ferrovia, del 1950 con l'opera Composizione, del 1954, del 1956 e quella del 150º anniversario dell'Unità d'Italia del 2011 presentato da Bruno Mauresing con l'opera l'arte non è cosa nostra. Vanta ben cinque partecipazioni alla Quadriennale di Roma tra il 1952 (VI edizione) e il 1973 (X edizione). Nell'ambito di questa manifestazione è tra i premiati della VII edizione del 1955-1956[2]. Tra le varie mostre va ricordata quella della Nuova pittura italiana al Museo Kumakura in Giappone nonché molte altre mostre all'estero.
Nel 1963 una sua opera viene esposta alla mostra Contemporary Italian Paintings, allestita in alcune città australiane.
Nel 2003 vince il Premio Sulmona.
Molte sono le personali a lui dedicate in diverse istituzioni museali, quali quella al Palazzo dei Diamanti a Ferrara del 1989, al Grand Palais di Parigi del 1989, l'antologica al museo Villa Breda a Padova del 2005, quella del 2009-2010, per i suoi ottant'anni, al Museo Ebraico di Venezia, la mostra La passione e il corpo della storia realizzata tra il 2014 e il 2015 al Museo nazionale di Ravenna.

 

info@giorgioceliberti.it

Gianni Maran

Nato nel 1958 a Grado (GO)
Sin da giovanissimo coltiva la passione per la pittura e all’età di dieci anni frequenta lo studio dell’artista gradese Aldo Marocco che successivamente diverrà suo professore di disegno. Alla fine anni 70’ l’incontro con il poeta gradese Biagio Marin, che gli aprirà nuovi orizzonti creativi dando inizio a una ricerca artistica legata alla sua isola.

Agli inizi degli anni 80’ allestisce la sua prima personale. Successivamente continuerà lo studio artistico, non solo come pittore e scultore, ma anche come scenografo, costumista e regista teatrale. Alla metà degli anni 90’inizia la collaborazione e la ricerca con il Maestro ceramista e designer Mauro Manuel Musiani con il quale darà inizio una lunga e straordinaria frequentazione artistica che lo porterà alla creazione di opere tridimensionali in ceramica policroma, prediligendo la scultura con soggetti mitologici. Il sodalizio darà vita anche ad una lunga stagione legata alla lavorazione del vetro, studiando e approfondendo le tecniche di grandi maestri vetrai nella tradizione dell’antiche officine Aquileiesi, realizzando così con la fusione del vetro, opere uniche e irripetibili.

Nel 2000 si siede dietro la macchina da presa realizzando alcuni cortometraggi. Il suo corto del 2003 “Ala de Vita” ha partecipato a molti festival nazionali ed internazionali del settore, vincendo il primo premio come miglior film al Festival del cortometraggio di Reggio Calabria. L’opera si è avvalsa della critica del maestro del cinema Ermanno Olmi.
Nel 2010 partecipa come autore, alla realizzazione di un cartone animato per la società CGN “Il pesce che vola”
Come pittore e scultore, ha allestito numerose mostre personali in tutto il territorio nazionale in importanti Gallerie e in prestigiosi spazi pubblici con grandi consensi da parte del pubblico e della critica specializzata.
Recentemente ha partecipato a esposizioni internazionali in, Praga, Stoccarda, Helsinki, Istanbul, Copenaghen, Buenos Aires, Montevideo, Amburgo, Vilnius, Sydney, Colonia,Vienna, Dubai, Barcellona e Francoforte.

Le sue opere sono presenti in importanti collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.
È incluso nel CATALOGO DELL’ARTE MODERNA (Gli artisti italiani dal primo novecento ad oggi) edizioni Mondadori, nell’ENCICLOPEDIA D’ARTE ITALINA e nel catalogo INTERNATIONAL CONTEMPORARY ARTISTS di New York.

Nel 2011 è stato insignito dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano del premio di Rappresentanza.
Nel 2012 gli è stato conferito il Sigillo della Città di Aquileia per meriti artistici.

 

gianni.maran@libero.it

Silvano Spessot

Nasce nel 1956 a Cormòns, paese rurale ubicato nel Nord Est Italia.
Autodidatta, sin dagli anni '70 cerca una propria ed autonoma via d'espressione artistica.
Partito da presupposti post impressionisti, viene folgorato sulla via di Damasco dallo studio delle opere di Jackson Pollock prima e di Alberto Burri in seconda battuta. Inizia un lungo viaggio sulla strada della sperimentazione materico cromatica, che lo porterà - nell'arco di tutti gli anni '80 e '90 - a provare radicali soluzioni tecnico espressive con la materia, ma soprattutto sulla materia, divenendo maestro provetto nell'uso di resine, di colle, nonché di impasti eterogenei.  La tela - intesa come superficie - talora viene usata, talaltra no, a seconda delle finalità perseguite e delle atmosfere volute. Tale ricerca lo fa approdare al fecondo periodo dei poliuretani, dove la sperimentazione lo porta alla negazione tanto del colore - nel caso dei poliuretani monocromi - quanto a quello della materia - nell'esempio dei poliuretani appena appena scalfiti o impercettibilmente offesi nella propria integrità di superficie. Per Spessot si tratta semplicemente di un viatico, di un'elaborazione alla ricerca d'una via autonoma, di sintesi ed equilibrio.
"Sintesi ed equilibrio - afferma l'artista - che io ho iniziato a trovare proprio con la serie degli Omini, dove ho potuto pienamente applicare le mie cognizioni cromatiche sulle superfici a me più consone".
In questa serie di opere, Spessot stabilisce un contatto immediato con la committenza attraverso l' escamotage di questa figura pseudo antropomorfa, senza però rinunciare alla forza del suo incedere cromatico cosiccome materico. L'omino concede all'immaginifico spessotiano, gli dà modo d'affrontare le opere con una certa verve ironica, con un gusto morigerato per la denuncia di una umanità per lo più vacua e passiva, poco incline all'approfondimento.
Ma, allo stesso tempo, Spessot rivolge la medesima ironia verso se stesso, poiché consapevole di essere egli stesso parte integrante di un mondo che è superficiale quanto profondo, standarizzato quanto eccentrico.
Gli Omini, nelle sue opere più recenti si sono dissolti e ispessiti in turbinanti congestioni policrome, come allacciati e frammisti in frenetiche danze. Grondano, serpeggiano, scivolano non soltanto sulle tele a tecnica mista, ma sulle superfici di lampade, tavoli, pupitre (le assi lignee impiegate per raccogliere bottiglie di vini doc), sculture totemiche in ferro e in vetro. Dispiegati sopra le pareti vitree delle damigiane intrecciano annodature policrome evocanti motivi vegetali e geometrici o viluppi di tentacoli di polipi dai grossi occhi, snodati sui vasi minoici emersi a Creta dalle rovine dei palazzi di Cnosso e Festo o della reale Villa di Haghia Triada. Immagini impressionisticamente profilate, tinte chiare e luminose o misteriosamente notturne, contorni stilizzati e compenetrati. Il loro andamento irto e ondulato alterna toni scintillanti e notturni, cupi e festanti, che visivamente deformano le simmetrie come se fossero viste nella trasparenza dell'acqua.
In collaborazione con l'orafo Claudio Fontana, l'arte di Spessot diventa gioiello: oro, argento e diamanti irradiano un arcano fascino barbarico, una strana remota bellezza esotica, un incantamento lunare.
Mai vincolato da correnti, gruppi o tendenze, oggi Silvano Spessot inizia a godere dei frutti di tantissimi anni di non facile lavoro, di un contesto di piena serenità e giusta consapevolezza.
Il tempo, galantuomo, non potrà far altro che ratificare questa nostra impressione.

 

info@silvanospessot.it

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